Ischia da gustare: viaggio fra i sapori delle Isole Flegree
Appena toccato suolo ci si accorge immediatamente dell’atmosfera incantata dell’isola, la maggiore fra quelle dell’Arcipelago Flegreo. E non solo per l’imponente Monte Epomeo o per l’affascinante e misterioso Castello Aragonese, ma anche per l’intensità degli odori che vengono fuori da ristoranti e bar sul porto.
Una volta approdati, la prima cosa che si avverte è il profumo di pesce: molluschi e crostacei, fritto di paranza, pesce spada e baccalà regnano incontrastati. Ma ciò che incuriosisce non è solo l’invitante odore che viene dai preziosi bottini dei pescatori, bensì gli effluvi di carne e verdure che si avvertono appena ci si sposta dalla costa verso l’interno. Il piatto che più caratterizza la gastronomia locale è infatti il Coniglio all’Ischitana.
Come mai, ci si domanda, in un luogo circondato dal mare, carne e verdure regnano al pari del pescato? La spiegazione è abbastanza semplice: fino agli anni ’60 questa era terra di infaticabili contadini e allevatori, dal retaggio povero ma dalla calda accoglienza. Questo luogo, una volta oggetto di aspre contese fra angioini e aragonesi, ha subito un brusco spopolamento ai primi del ‘900, per poi ritornare ad essere meta dei turisti solo dopo il boom economico degli anni ’60.
In questa ottica si possono inquadrare piatti come il pesce all’acqua pazza, originario proprio di qui, il pollo alla fumarola, la pasta fagioli e cozze e il già citato coniglio. O, ancora, la merenda classica degli allevatori locali: pane e cipolla.
I piatti tipici di Ischia
Se si parla di cucina è impossibile non citare il celebre coniglio alla cacciatora, poi diventato appunto Coniglio all’Ischitana per via della particolare forma di allevamento degli animali. I conigli di fossa sono un punto cardine delle produzioni locali, che non conoscono i metodi intensivi: qui, infatti, ogni famiglia ha il suo pezzo di terra da coltivare e/o la sua zona d’allevamento.
Gli abitanti allevano una speciale razza di conigli dalla taglia contenuta, che vivono la loro vita in ampie fosse scavate nel terreno fino a tre o quattro metri di profondità. In questo modo gli animali possono creare dei cunicoli in cui scorrazzare e mangiare quasi esclusivamente erba, conservando lo stato brado: il tutto, naturalmente, a vantaggio del sapore della carne, molto più intenso di quello dei conigli “classici”. Questo particolare sistema di allevamento, mantenutosi intatto fino ai primi del ‘900, è caduto in disuso nell’era del cibo industriale, ma da qualche decennio è stato ripreso dalla gran parte degli ischitani.
Il secondo piatto cardine della cucina locale è il Pollo alla Fumarola. Esemplari locali di volatili, avvolti in panni di cotone, vengono cotti sulla sabbia sfruttando i grandi getti di vapore che escono dalle bocche nella terra. Questo tipo di preparazione permette di realizzare un piatto leggero ma dal sapore unico e intenso: una procedura anche rischiosa, che diverse volte ha provocato ustioni alle mani degli addetti ai lavori.
Terzo piatto di questa breve rassegna gastronomica è il Pesce all’acqua pazza: una pietanza povera che i più adducono a Napoli ma che in realtà è stata inventata proprio qui. Prima del boom turistico degli anni ’60-’70 erano pochi gli isolani che potevano permettersi un buon pescato. Per poter provare questi sapori proibitivi, i più poveri si recavano al porto alla fine della giornata, domandando ai pescatori il “murzillo”, ovvero gli avanzi dell’esca rimasti attaccati agli ami. Una volta ottenuti, i rimasugli di pesce – di solito acciughe o sarde – venivano cotti nell’acqua con aglio, abbondante prezzemolo e peperoncino, trasformando quello che i pescatori avrebbero buttato in un piatto prelibato, che oggi si può trovare in tutti i ristoranti campani.
Fonte: http://blog.gamberorosso.it